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Prima della finalissima tra Empoli e NK Istra, si è giocata un’altra sfida. Non assegnava titoli, né trofei. E non ce n’era bisogno. Perché la posta in palio era infinitamente più elevata: abbattere i confini. Cancellare i margini. Mescolare le carte. O, meglio ancora, mescolare le maglie. È andata in scena allo stadio Zugni Tauro di Feltre, all’interno della trentasettesima edizione del Torneo Champions Pulcini. 

Da una parte, una selezione di piccoli calciatori della SSD Dolomiti Bellunesi. Dall’altra, una squadra composta da persone con disabilità intellettiva e disturbi dello spettro autistico, legate all’ASD Sport Assi e alla Cooperativa Società Nuova

Ma la verità è che “da una parte” e “dall’altra” sono espressioni inutili. 

Perché in campo c’era una sola squadra: quella dell’inclusione.

Guidati da Sandro Tormen, i ragazzi hanno tirato, passato, parato, sorriso e si sono rincorsi senza ostacoli, limiti o differenze. Non c’era tattica e tantomeno classifica. C’era relazione. Quella vera. Quella che nasce quando ci si incontra per ciò che si è. E non per ciò che si dimostra.

Ed è qui che risiede la grande lezione. Perché l’inclusione non è una bandiera da sventolare o una parola da infilare in una brochure. L’inclusione è creare un contesto in cui ogni persona possa esprimersi al meglio, secondo le sue possibilità.

È l’abbraccio tra chi segna e chi applaude. È la pacca sulla spalla tra chi sbaglia e chi incoraggia. È capire che il calcio è un’occasione. 

Al triplice fischio, sgorga spontaneo un applauso. Caldo. Sincero. Interminabile. Di quelli che non sfumano quando si spegne il cronometro. Perché, almeno per una volta, il risultato non si misura in gol. Ma in sorrisi che non conoscono barriere.